10 Dicembre 2025, di Anna Fabi – PMI.it
La discussione parlamentare sulla Manovra 2026 riaccende il dibattito sulle pensioni. L’analisi dell’Osservatorio Previdenza della CGIL mostra come il meccanismo di adeguamento automatico alle aspettative di vita, confermato dall’articolo 43 del disegno di Legge di Bilancio (seppur applicato in modo scaglionato), rischi di penalizzare soprattutto chi ha redditi bassi e carriere frammentate.
Il problema riguarda anche e soprattutto giovani e donne, intrappolati in part-time involontari e rapporti brevi. La mancata copertura contributiva non dipende dall’assenza di lavoro ma da retribuzioni insufficienti per soddisfare la soglia minima. Alla luce dei dati, spieghiamo bene perchè.
Chi guadagna poco non matura un anno di contributi
Dai dati emerge una fotografia netta: quasi un lavoratore dipendente privato su tre percepisce meno di 15.000 euro annui, livello che spesso non consente di raggiungere il “minimale contributivo” necessario affinché un anno sia valido ai fini previdenziali. Di fatto, in Italia sono oltre 5 milioni i lavoratori che ogni anno non riescono a farsi riconoscere un anno pieno di contributi, nonostante un impiego continuativo.
Il minimale contributivo è aumentato più dei salari
Dal 2022 al 2026 il minimale contributivo settimanale cresce del 16,5%, ben più dell’andamento delle retribuzioni. Questo disallineamento significa che, anche lavorando 12 mesi, un dipendente con redditi bassi può vedersi riconosciute solo una parte delle settimane utili.

Prendendo ad esempio una lavoratrice con 10.928 euro lordi annui, in soli quattro anni si perdono 22 settimane di contributi: oltre cinque mesi e mezzo di pensione futura cancellati pur lavorando sempre:
| Anno | Settimane accreditate | Settimane perse |
|---|---|---|
| 2022 | 52 | 0 |
| 2023 | 49 | 3 |
| 2024 | 46 | 6 |
| 2025 | 46 | 6 |
| 2026 (stima) | 45 | 7 |
L’aumento dei requisiti pensionistici colpirà chi è più fragile
La Manovra non blocca il meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita. Dopo un incremento attenuato nel 2027 (+1 mese), dal 2028 gli aumenti tornano a regime: +3 mesi nel 2028, +5 mesi nel 2029, fino a +23 mesi nel 2050. Il risultato è che chi oggi ha redditi bassi dovrà lavorare settimane o mesi aggiuntivi solo per “recuperare” l’aumento previsto.
La tabella con le stime al 2050
Secondo le stime della Ragioneria dello Stato, a legislazione vigente i requisiti per la pensione di vecchiaia e anticipata continueranno a crescere in modo costante, con l’età per la pensione che si avvicinerà ai 70 anni nel 2050.

Una pensione sempre più lontana per 5 milioni di lavoratori
Secondo l’elaborazione, circa 5,1 milioni di lavoratori – il 29% dei dipendenti privati – si trovano sotto la soglia minima per maturare un anno pieno di contributi. Sono le stesse persone che, dal 2028 in poi, dovranno sopportare l’aumento automatico dei requisiti: un doppio svantaggio che rischia di tradursi in pensioni future molto basse o nel mancato raggiungimento del diritto.
Il quadro che emerge è quello di un sistema che, senza interventi su salari, continuità occupazionale e soglia contributiva, tende ad ampliare le disuguaglianze. Per chi oggi guadagna poco, l’aumento dei requisiti non significa solo lavorare più a lungo: significa lavorare molto di più per ottenere meno.
Quanti mesi in più serviranno per andare in pensione
La CGIL ha stimato quante settimane extra serviranno dal 2028 per adeguarsi agli incrementi pieni. Per fare un esempio estremo, per arrivare al minimale contributivo chi guadagna 5mila euro l’anno dovrà lavorare 2 mesi in più degli altri. E nel 2050 questo stesso lavoratore dovrà restare nel mondo del lavoro oltre un anno in più.
Donne e giovani i più penalizzati
Il documento mostra come la povertà salariale sia concentrata in due categorie: giovani al primo ingresso e donne, spesso occupate in lavori a basso valore aggiunto o part-time involontario. Metà delle lavoratrici ha almeno un rapporto part-time nell’anno. Questo incide direttamente sulla capacità di maturare contributi e amplifica il divario previdenziale nel tempo.